Cose da grandi di Mariano Orsi
Partiamo da una cosa fondamentale, questo "giornale" non è assolutamente mio, ma come nel caso del gruppo Facebook "Tu sè d' Gurfigh'jàn se..." è di tutti i gorfiglianesi, pertanto chi volesse pubblicare notizie, eventi, storie, o quant'altro quest Blog è a disposizione. Premetto, l'aspetto e il contenuto del giornale deve essere laico. E' vero, ho pubblicato nella sezione "Tradizioni" la Festa della Madonnina, i Natalecci, ma questo credo sia indispensabile considerando che, volenti o nolenti, quelle due feste, oltre ad avere un significato prettamente religioso, entrano di diritto nella cultura di noi gorfiglianesi. Bene, Mariano Orsi, mi ha inviato questo favoloso pezzo, indubbiamente religioso, ma non ho potuto fare a meno di pubblicarlo. Dal mio punto di vista letterariamente è bellissimo pertanto mi trovo quasi costretto a renderlo noto a tutti i paesani. Mariano ha indubbiamente delle ottime qualità come scrittore.
Volendo essere sinceri, non mi è mai passato per la testa di scrivere una qualsiasi cosa, ho sempre pensato che lo scrivere fosse un privilegio per poche persone, poi mi sono convinto che scrivere i propri pensieri è un'ottima forma per scaricare lo stress.
Naturalmente non c'è pretesa di scrivere dei best sellers, ma quanto basta perché chi legge riesca, in qualche modo, a capire cosa lo scrivente vuol far capire; insomma non si cerca il romanzo ma il trasmettere le proprie sensazioni. In questo modo spero di raggiungere la mente e il cuore di chi mi legge.
Cerco di raccontare episodi e aneddoti della mia vita e solo in questo modo riesco a dare un filo logico ai miei pensieri e ai miei ricordi. Credo che, sotto certi punti di vista, certi episodi non abbiano nulla da invidiare ai romanzi un po' così che abbondano nella letteratura italiana.
Detto questo voglio raccontare una sera di Natale di molti anni fa di cui ho già parlato, ma molto poco, che è viva nella mia memoria e che ricorre spesso anche nei miei sogni.
Nel mio paese di montagna, molti anni fa, erano in uso maniere particolari di festeggiare il Natale. Come ancora oggi, si cominciava per la festa dell'Immacolata a far ginepri per i natalecci, tradizione che è sempre stata molto sentita da noi. Lavoro duro che finiva la vigilia, in attesa del suono dell'Ave Maria per accendere questi maestosi fuochi, fatti per riscaldare la nascita del Bambinello. Come da tradizione che si perde nella notte dei tempi.
Esisteva però anche una parte meno mistica della tradizione natalizia e cioè la parte più umana e più consona a un paese di montagna, dove la maggior parte dei suoi abitanti erano semplici lavoratori o cavatori o contadini; gente semplice che aspettava i giorni di festa per mangiare o bere cose un po' diverse dal solito e considerate un lusso e solo per poche occasioni.
Infatti la vigilia di Natale era in uso offrire a turno i classici ponce caldi al mandarino, naturalmente fatto in casa, o con caffè corretti, fortemente, con vari liquori. Naturalmente si finiva un po' alticci e allora, piccolo pisolino, per poi immancabilmente andare alla Messa dì mezzanotte.
Naturalmente a me, molto piccolo, non riusciva mai di arrivare all'ora della Messa ancora sveglio e così sapevo della Messa solo dai miei genitori.
Un Natale particolare però lo ricordo in maniera un po' confusa perché, mio padre, dopo lunga insistenza mi promise che se avessi dormito un po' mi avrebbe portato, all'ora giusta, alla Messa di mezzanotte. Io chiaramente misi tutta la buona volontà nel dormire ma l'eccitazione di poter assistere finalmente all'evento fece si che gli occhi si rifiutassero di chiudersi.
Giunta l'ora, mi vestirono con il mio caldo cappottino e con le scarpe nuove che mi aveva regalato lo zio. Uscimmo nella notte freddissima, chiara per una grande luna e per un po' di neve caduta nei giorni precedenti. Dopo lunga camminata, eroica, per un bambino come io ero, entrammo in chiesa e fu tutta una grande meraviglia per me.
C'era un odore particolare, che poi ho saputo essere di incenso, un po' di tepore, forse per la tanta gente presente nella chiesa e soprattutto dei canti strani per me; non li avevo mai senti prima. Poi, ad un certo punto, il mio sguardo fu attratto da un grande cesto posto sugli scalini dell'altare, addobbato con grande sfarzo e molto illuminato da moltissimi ceri, grandi e piccoli.
Nel cesto c'era un piccolo bambino, avvolto in vesti strane, mai viste e sotto di lui la paglia uguale a quella che il nonno usava per il bestiame.
Cercavo di avvicinarmi per vedere meglio chi fosse il bambino, ma mio padre mi teneva stretto per mano e io non potevo avvicinarmi più di tanto. Cercavo di avere informazioni dal padre, ma lui con il dito sulle labbra mi faceva segno di star zitto e non disturbare la funzione. Io però ero affascinato dalla bellezza del piccolo nel cesto: lo guardavo fissamente sperando che anche lui mi guardasse, poi, ad un tratto il pensiero che con quelle poche vesti potesse avere freddo. Lo dissi al papà e lui con un sorriso mi disse di stare tranquillo, non aveva freddo. Io però dal fondo della chiesa non vedevo bene il cesto, ma ritenevo che mio padre avesse torto, aveva senz'altro freddo. Mi avvicinai allora al nonno, sperando che lui mi aiutasse a capire meglio tutto quello che vedevo e che mi metteva addosso una grande ansia.
Il nonno fece lo stesso discorso del padre:"Zitto, disturbi la messa, il prete ti brontolerà".
Perché nessuno voleva capire che il piccolo aveva freddo? I grandi a volte sono strani, a volte cattivi con noi piccoli; dovevo in qualche modo coprire il piccolo e approfittando del fatto che nessuno mi guardava mi avvicinai velocemente al bambino, per coprirlo con il mio cappottino.
La sorpresa fu grande, non era vero, era un bambolotto. Mi fecero male le risate della gente, i grandi sono cattivi. Tornai un po' triste dal nonno, il quale mi guardava con gli occhi lucidi, forse era l'unico ad aver capito il mio gesto e la mia grande delusione.
Il sonno cominciava a torturare i miei occhi, il mio sguardo andò allora sopra all'altare, c'era un altro essere che soffriva molto e doveva anche avere molto freddo, nudo, con le mani e i piedi sanguinanti per dei grossi ferri che gli attraversavano la carne; aveva poi delle spine intorno alla testa.
Avevo già visto un affare simile, molto più piccolo, nella stanza dove un dottore mi faceva tirare fuori la lingua, al contrario della mamma, che diceva che non si fanno le linguacce. Mi avevano detto che era Gesù e che in sua presenza dovevo fare il segno della croce, come faceva il nonno.
Nel torpore che mi aveva preso pensavo come fosse possibile che ci fossero due Gesù, uno molto dolce e sorridente, uno molto addolorato e ferito con il sangue che scendeva lungo il suo viso. Ma tutti e due con una situazione strana e dolorosa.
In cosa consisteva la festa? Perché si doveva essere contenti e felici per due situazioni tanto strane e dolorose?
Chiaramente questi pensieri venivano in testa ad un piccolo di circa tre anni che poco aveva frequentato la chiesa e le poche cose note erano le notizie che il nonno dava al nipotino. Il sonno era ora un tormento, le palpebre molto pesanti, ma non si poteva dormire, il prete non voleva, diceva il nonno, avrebbe brontolato a tutta la famiglia. La messa era finita, uscimmo e subito il gran freddo svegliò un po' tutti. Allora io cominciai con i miei perché. Il nonno mi disse mi avrebbe spiegato tutto quanto volevo sapere. Ma io avevo già deciso che la messa di mezzanotte era una cosa molto dolorosa per un bambino come me, non si poteva cantare, pregare ed essere felici se un bambino ed un uomo soffrivano davanti a tutti.
Cose da grandi, i grandi sono strani, sono grandi.
Il giorno seguente, come promesso, il nonno con molta pazienza provò a spiegarmi in cosa consisteva tutto ciò che avevo visto e che lui stesso aveva notato, quanto fortemente mi avesse impressionato in maniera negativa. Forse era l'unico che aveva capito il mio malessere, provocato dalla vista del crocifisso e del piccolo bambino nel cesto con la sola paglia come materasso.
Mi spiegava, o almeno tentava, il fatto che il bambino,chiamato Gesù, era nato in povertà, pur essendo il figlio del Signore Dio Nostro, ed era venuto sulla terra perché il male stava superando il bene. Lui si era accollato tutti i nostri peccati perché tutti noi potessimo avare il perdono del Padre.
Io non capivo, tutti i peccati di tutti? Allora quando io liberavo i conigli o infilavi gli stecchi nel naso della Lilla oppure rompevo le uova nel nido o anche rubavo la marmellata alla mamma, il bambino della paglia veniva sculacciato al posto mio? Quando all'asilo pestavo i miei compagni era lui che andava in castigo in un angolo della classe? Non era giusto, forse non era così, forse il nonno non mi diceva la verità. E quanti peccati aveva per essere messo in croce come il nonno mi raccontava? E se il padre dava a tutti i peccatori il suo perdono, perché non aveva perdonato il figlio? Perché lasciava che il figlio soffrisse in quel modo sulla croce? Mio padre non avrebbe permesso che mi avessero fatto soffrire così. Mio padre mi voleva bene, come io a lui, perché il suo non dimostrava il suo amore, coprendo il piccolo e liberando dalla croce?
Devo dire che questi perché mi hanno assillato per molto tempo, poi con l'età e la partecipazione al catechismo per la prima comunione, ho capito, forse, perché Ns Signore è morto per noi sulla croce.
Però ancora oggi non amo il Natale, preferisco la Pasqua, dove finalmente un piccolo bambino, diventato poi grande, con le ns sofferenze e i nostri peccati sulla sua schiena ha avuto giustizia e quando le campane annunciano la sua ascesa al cielo, alla destra del Padre, un profondo senso di pace mi prende il cuore, felice che il piccolo grande uomo, sia sceso tra di noi e con la sua sofferenza, abbia aperto la via del cielo a chi crede in Lui e a chi ha con Lui condiviso i dolori del mondo.
Io però non sono stato molto sincero con Lui, negli ultimi tempi, colpevole anche la malattia, mi sono un po' allontanato dalla sua amicizia. Volevo dare il mio cappottino a quel bambino e quando mi è stato comunicato che avevo contratto il morbo di Parkynson avrei preteso da Lui un aiuto. Poi col tempo ho capito che l'aiuto c'è stato. Sono ancora qui a godere di un vita ancora buona, non perfetta ma vivibile, piena ancora di molti significati.
Perciò sto cercando la maniera di chiedere scusa e cercare di riavvicinarmi a quel bambino con tanto freddo, in poca paglia. Se lui ha sopportato tanto dolore, tante vessazioni, forse anch'io, con il suo aiuto, potrò sopportare un finale di vita con un po' più di pazienza e un po' più di rispetto per le sue decisioni nei miei confronti.
Dedicato al Giannin da RI . Il nonno in questione, mio nonno!
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